Materiale di lavoro

I post inseriti all'interno di questo blog sono risorse per un lavoro di studio in classe organizzato in gruppi di alunni, per approfondire la conoscenza dell'arte di Paolo Uccello.

martedì 7 aprile 2015

Pasquale Rotondi custode dell'arte italiana a Sassocorvaro



Chi è quest'uomo sereno e compiaciuto?
Si chiama Pasquale Rotondi e grazie a lui noi oggi possiamo godere di gran parte del nostro patrimonio artistico in tutta Italia. Vi sembrerà strana questa mia affermazione, ma è la verità; questa è la storia.

Nel 1939 scoppia la seconda guerra mondiale. Il giovane Pasquale Rotondi è nominato Sovrintendente alle Gallerie e alle opere d'arte delle Marche. L'Italia è sotto la dittatura fascista di Mussolini che si allea con Hitler contro la Francia e l'Inghilterra.

Benito Mussolini e Adolf  Hitler
Il ministro dell'educazione nazionale, Giuseppe Bottai è molto preoccupato per i pericoli che possono correre le nostre opere d'arte non solo a causa della guerra, ma anche a causa dell'avidità di Hitler e del suo uomo di fiducia Goering che vorrebbero portare in Germania tutte le opere più belle del nostro patrimonio.
Bottai chiede aiuto allo storico Carlo Giulio Argan il quale contatta il nostro Rotondi chiedendogli di trovare un posto sicuro e segreto per nascondere il maggior numero di opere possibili.

Rotondi prima pensa al palazzo Ducale di Urbino che però scarta velocemente perché in Urbino, all'epoca, possiede un deposito di armi navali. Allora decide di organizzare il deposito nella rocca di Sassocorvaro progettata per Federico Montefeltro da Francesco di Giorgio Martini.


rocca di Sassocorvaro
Qui comincia a raccogliere in gran segreto le opere presenti nei musei delle Marche. non ha molti mezzi e nessuno deve sapere del suo lavoro. Solo tre persone sanno cosa succede e dove si trovano le opere: lo stesso Rotondi, sua moglie e il suo fedele autista.

Rotondi con il suo autista a Urbino

il trasporto di un'opera nella rocca di Sassocorvaro
Tutto procede bene e nessuno si accorge di nulla, ma arriva il 1943, le guerre di Mussolini in Africa sono ormai tutte perse, gli Angloamericani sono sbarcati in Sicilia e avanzano sul territorio italiano, i Tedeschi cercano di bloccarli ma ormai l'esercito alleato ha superato Roma. L'ultimo disperato tentativo di arrestare l'avanzata è quello di creare uno sbarramento armato fino ai denti nell'appennino tosco-emiliano creando la famosa Linea Gotica che interessa proprio il territorio urbinate.

La situazione è drammatica. Adesso molti altri musei sono preoccupati per l'incolumità dei loro patrimoni e tutti chiedono aiuto a Pasquale Rotondi. Rotondi non si tira indietro, ma ben presto la rocca di Sassocorvaro non ha più spazio a sufficienza, bisogna trovare un altro luogo sicuro: i sotterranei del palazzo del Principe di Carpegna, sempre vicino a Urbino.

palazzo dei Principi di Carpegna
Le opere arrivano da Roma, Venezia, Firenze e tanti altri siti. Quando arrivano i Tedeschi nel Montefeltro subito vanno alla caccia di opere da razziare, ma il nostro Rotondi sia per bravura che per fortuna riesce a mantenere segreto il nascondiglio.

Dopo la guerra le opere furono restituite ai musei di provenienza e oggi le possiamo ammirare grazie al sacrificio di questo umile uomo la cui storia si conoscerà solo 40 anni dopo quando il sindaco di Sassocorvaro lo andò a cercare a Roma.

Se volete approfondire questo argomento cliccate in questo link:


si tratta di un bel documentario di 40 minuti in cui si narra tutta la storia

domenica 8 marzo 2015

altre opere di Paolo Uccello






link su Paolo Uccello

LINK SU PAOLO UCCELLO
Tutta l’opera


studio sul mazzocchio


approfondito esame della leggenda dell’ostia profanata con la descrizione della condizione degli ebrei nel Montefeltro


Disegni prospettici di Paolo Uccello








Paolo Uccello: vita e opere

Paolo Uccello

Vita e opere

Secondo le scarse notizie circa la sua formazione fu allievo a Firenze di Starnina, che lo educò al gusto del gotico internazionale, e garzone (1407) di Ghiberti per la ripulitura della seconda porta del Battistero. Dal 1425 al 1430 soggiornò a Venezia(mosaico con S. Pietro per la facciata di S. Marco, perduto), fu poi a Bologna (1431,Adorazione del Bambino, San Martino) e, dal 1432, nuovamente a Firenze, dove, attivo prevalentemente nel duomo, lavorò al monumento equestre di Giovanni Acuto, affrescato nella navata sinistra (1436), ai clipei con i Quattro profeti nell'orologio della parete d'ingresso (1441-43) e ai cartoni (1443) per le vetrate della cupola (Annunciazione, perduta; Ascensione, non eseguita; Resurrezione e Natività, in loco) che rielaborano in una personale espressione la nuova prospettiva descrittiva e il vigoroso plasticismo di Masaccio. Nel 1445 le fonti lo ricordano a Padova, dove dipinse in chiaroscuro alcune figure di Giganti (perdute) in casa Vitaliani e ancora, dal 1447, a Firenze. Fra le opere documentate superstiti, oltre agli affreschi con le Storie degli Eremiti nel chiostro di S. Miniato al Monte, sono i deteriorati affreschi (distaccati) nel Chiostro Verde di S. Maria Novella a Firenze, e i tre episodi della Battaglia di San Romano (tavole divise tra Firenze, Uffizi; Parigi, Louvre; Londra, National Gallery) nei quali i toni luminosi dei rossi e dei verdi sono accostati a campiture profonde di neri e di grigi come in zone a intarsio definite da incisive linee volumetriche. La visione prospettica che l'artista presenta in queste opere non è unitaria (poiché non compose in unità le varie parti della scena) ma frammentaria, episodica, perché ogni figura e ogni elemento hanno il loro speciale problema prospettico, non subordinato all'insieme, che il pittore risolve caso per caso, quasi compiaciuto di questo. Dal 1465 al 1469 eseguì a Urbino una tavola di cui resta, nella Galleria nazionale delle Marche, la predella raffigurante il Miracolo dell'ostia. Tra le opere concordemente attribuitegli: la Caccia notturna (Oxford, Ashmolean Museum) e il S. Giorgio e il drago (Parigi, Musée Jacquemart-André; Londra, National Gallery), caratterizzati da una trasfigurazione irreale e fiabesca del dato naturale, e i ritratti (Dama, New York, Metropolitan Museum) modulati da linee sottili e incisive. Né va dimenticata l'importanza che l'opera artistica di P. U. ha anche dal punto di vista strettamente geometrico, per l'impulso da essa dato allo sviluppo della prospettiva come metodo di rappresentazione. P. U. non ebbe seguaci diretti, ma la sintesi prospettica della forma e del colore, a cui talora egli giunse, preparò l'arte altissima di Piero della Francesca. La sua figura ispirò a G. Pascoli un poemetto (1903), poi raccolto nei Poemi italici (1911). ׮ Fu pittrice anche sua figlia Antonia (1456-1491), suora carmelitana, ma nessuna opera ci è pervenuta. Altre opere della cerchia di P. U. sono raggruppate sotto il cosiddetto maestro di Karlsruhe o di Quarata (Adorazione del Bambino a Karlsruhe, Adorazione dei Magi, già a S. Bartolomeo a Quarata, Firenze).


Immagini del mazzocchio in Paolo uccello e Piero della Francesca








Il mazzocchio


MAZZOCCHIO

Il mazzocchio (bourrelet in francese medio), anche "cappuccio a foggia", era una copricapo maschile in uso in Europa occidentale durante il Rinascimento, costituito da un cerchio di borra ricoperto di panno da cui partivano il becchetto e la foggia vera e propria.

Il mazzocchio è un copricapo composto da un anello poco più grande della circonferenza della testa. Il cerchio, formato di borra e rivestimento di panno, nasce come uno degli elementi che compongono il cappuccio medioevale. Il termine potrebbe derivare dal latino maxuca e dal suo diminutivo maxuculus, ossia "una quantità di cose strette insieme a un mazzo". Esso viene realizzato in molteplici varianti, tanto che non risulta risalire a un unico modello originale. Il Quattrocento è la grande epoca del mazzocchio; se ne diffonde l'uso in tutta l'Europa, ma la storia del costume lega questo accessorio all'alta borghesia rinascimentale fiorentina. E' molto presente nella tradizione pittorica e Paolo Uccello lo dipinge frequentemente indosso ai suoi personaggi, poiché la sua superficie geometrica sfaccettata risulta di difficile raffigurazione prospettica ed è quindi sinonimo di grande padronanza dell'uso della prospettiva. A questo proposito Piero della Francesca spiega le regole della sua rappresentazione nel trattato De Prospectiva Pingendi. Una forma archetipo come questa è un simbolo di essenzialità e complessità insieme, una forma senza tempo che nasconde altri significati. Infatti, "aggiustare il mazzocchio a qualcuno" vuol dire "fargli passare i capricci".

Altre notizie sul mazzocchio in questo sito: http://www.leonardo3.net/mazzocchio/index.html

Immagini del miracolo dell'ostia profanata








Il miracolo dell'ostia profanata

IL MIRACOLO DELL’OSTIA PROFANATA

Sull'opera: Il "Miracolo dell'ostia profanata" è un ciclo di sei dipinti autografi di Paolo Uccello realizzati con tecnica a tempera su tavola intorno al 1465-69, misurano tutti 33 x 58,5 per un assieme di cm. 43 x 351. Il complesso pittorico, insieme alla Pala di Giusto di Gand (Gand, 1430 circa – 1480 circa), è custodito nella Galleria Nazionale delle Marche ad Urbino. 
I presenti riquadri in origine fungevano da predella alla "Pala del Corpus Domini" (cm. 331 x 335, anno 1472-74) di Giusto di Gand, già nella chiesa urbinate del Corpus Domini. Il complesso pittorico fu commissionato dalla confraternita del Corpus Domini.

La chiesa venne demolita e la pala di Giusto fu trasferita al Collegio degli scolopi ove vi rimase, abbandonata nelle soffitte, fino al 1861, quando venne ritrovata in pessime condizioni, scrostata in molte zone, bucherellata da grossi chiodi e scolorita in più punti, da far presupporre un impiego più svariato della tavola per i lavori murari e d'impalcatura. Quello stesso anno fu sottoposta a ripulitura e quindi trasferita alla Galleria Nazionale delle Marche ad Urbino.
Nel 1954 un nuovo restauro, eseguito dal Tintori, ha eliminato le vaste ed improprie ridipinture cinquecentesche, facendo riaffiorare la pregiata narrazione pittorica, specialmente nel fondo – a destra – ove è raffigurato l'ultimo episodio.
La predella, di Paolo Uccello, invece è composta da un ciclo di sei episodi:
1.     Primo episodio: una donna cerca di vendere l'ostia consacrata a un mercante ebreo per riscattare un mantello.
2.     Secondo episodio: qui si verifica il sacrificio: l'ostia viene posta alle fiamme, ma inizia a versare sangue davanti ai sacrileghi, mentre al di là della parete alcuni uomini armati cercano di sfondare la porta d'accesso.
3.     Terzo episodio: una processione ha raggiunto la chiesa per la riconsacrazione della particola.
4.     Quarto episodio: recano la donna sacrilega al supplizio, mentre appare un angelo dal cielo;
5.     Quinto episodio: qui viene raffigurato il rogo della famiglia del mercante ebreo, esso compreso.
6.     Sesto episodio: due diavoli e due angeli, davanti ad un altare, si stanno contendendo il corpo della donna.

Alcune documentazioni, tra cui quelle pubblicate da Pungileoni e da Schmarsow (rispettivamente l' "Elogio storico di Giovanni Santi", datato 1822, e "Melozzo da Forlì" datato 1886) evidenziano la presenza ad Urbino di Paolo Uccelli dal 1465. Altri documenti attestano che l'artista riscosse, dall'agosto 1467 all'ottobre 1468,  diversi compensi dalla compagnia del Corpus Domini. Tuttavia, nel corso degli stessi anni, la compagnia stava concludendo accordi con altri pittori. Nel 1469, dopo che l'Uccello lasciò Urbino, giunse in città Piero della Francesca (Borgo Sansepolcro, 1416/1417 circa – Borgo Sansepolcro, 1492) per avere dei contatti con la compagnia e per vedere la "taula per farla" (fonte: Pungileoni). Inoltre in un documento si indica che nel 1473 la Pala del Corpus Domini con l'Eucarestia per l'altar maggiore era commissionata a Giusto di Gand. A tal proposito Pope-Hennessy ipotizzò che la Pala fosse stata inizialmente affidata a Paolo, che dipinse la presente predella e inizio a disegnare la tavola principale; ma, non riuscendo – nel corso della realizzazione – a soddisfare la committenza, venne esonerato dall'incarico primario, che fu proposto a Piero della Francesca e, poi, a Giusto di Gand.

La battaglia di san Romano

Questo dipinto è soltanto la parte centrale di un grande trittico dipinto da Paolo Uccello nel 1438 circa, oggi smembrato e diviso tra Uffizi, National Gallery di Londra  e Louvre di Parigi.
Il ciclo illustra le fasi della battaglia di San Romano che si svolse nel 1432 tra fiorentini e senesi e che vide la vittoria gloriosa di Firenze. L’opera fu dipinta per la ricca famiglia Bartolini ma nel 1492 risultava già nell’ inventario dei beni di Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico.
Ciò che rende importante questo grande ciclo è l’utilizzo sperimentale ed ardito dellaprospettiva, che rese Paolo Uccello famoso tra i suoi contemporanei.
La parte esposta agli Uffizi rappresenta il disarcionamento di Bernardino della Ciarda, condottiero senese ritratto al centro della scena insieme al suo cavallo bianco nel momento in cui viene colpito da una lancia nemica. La composizione è molto affollata; nonostante ciò l’atmosfera è alquanto irreale e i cavalieri sembrano quasi dei manichini di una giostra. Ciò che interessa all’artista è soprattutto la composizione prospettica e non l’umanità.

I dettagli naturalistici, le scene di caccia sullo sfondo, la minuziosa descrizione delle armature e dei cavalli ci rimandano all’eredità tardogotica. Paolo Uccello è infatti un’importante artista di transizione: accoglie pienamente la rivoluzione rinascimentale della prospettiva e della centralità dell’uomo, ma con il gusto fiabesco ancora gotico cortese.

Immagini della battaglia di san Romano

Paolo Uccello: ciclo della battaglia di san Romano